Il Vangelo di questa domenica, mediante la parabola di Gesù sulle vergini sagge e quelle stolte, ci parla di un atteggiamento fondamentale del cristiano e in generale di colui che ama: l’attesa.
Capita qualche volta di fermarsi a riflettere e scoprire in noi la domanda: «per cosa vivo, mi spendo, impiego le mie energie? Cosa muove le mie giornate?». Sovente la rimuoviamo perché non sappiamo come rispondere o la soffochiamo in mille occupazioni; è vero che non è facile trovare una soluzione, ma la cosa migliore sarebbe custodirla in noi, abitarla, perché spesso si tratta di un campanello dall’allarme, qualcosa che in noi fa capolino per avvertirci che stiamo vivendo superficialmente, che diamo per scontato lo scorrere dell’esistenza, senza cercare una direzione precisa, una finalità che corrisponda a ciò che troviamo dentro di noi, a come ci sentiamo costituiti, al nostro essere più profondo e vero. Tutti ed in ogni momento siamo chiamati, e in qualsiasi istante possiamo scoprire in noi una vocazione che ci precede: come trovarla?
La riscoperta della nostra umanità così ricca e nello stesso tempo così mancante, potrebbe aiutarci ad intraprendere questa strada. Fermandoci, sospendendo anche per poco le nostre molteplici attività ed entrando dentro noi possiamo trovare un mondo di desideri inappagati, di spinte non sempre seguite, di sogni mai realizzati. I mistici, coloro che hanno fatto esperienza del Mistero che ci abita, sono convinti che proprio dentro questi moti del cuore si trovi il nostro anelito più profondo: la nostra relazione con Dio. Anche quando rinveniamo in noi istinti disordinati, mescolati ai sentimenti più disparati, desideri in contraddizione tra loro, dobbiamo scavare, perché il più delle volte contengono ‘la perla preziosa’, ‘il tesoro nel campo’, ciò per cui vale la pena vivere e spendersi: il nostro desiderio di amare ed essere amati. E il desiderio nasce in noi da una mancanza, dal limite che scopriamo in questa discesa nella nostra umanità, che ci fa gridare e attendere un compimento. Non ci sentiamo appagati, qualcosa ci spinge sempre oltre e per questo aspettiamo di essere raggiunti da Chi può, fuori di noi, colmare il nostro bisogno, il nostro vuoto. Nelle Beatitudini, la regola di vita del cristiano, scopriamo il paradosso di categorie di persone svantaggiate, mancanti, prive di beni fondamentali, proclamate beate, felici: i poveri, gli afflitti, coloro che ha fame e sete di giustizia, i perseguitati. Felici perché, non potendo ricevere un appagamento immediato alla loro necessità, sono resi consapevoli di un vuoto grande che li spinge a cercare altrove, in Dio la realizzazione di ogni loro conato interiore ed esteriore. Beati perché attendono continuamente e percepiscono il limite della loro umanità come una spinta a reagire diversamente, a dare una risposta nuova a un ostacolo evidente. E beati quindi siamo tutti, quando feriti e indigenti (e in qualche modo lo è chiunque), facciamo del limite una risorsa che ci spinge ad uscire da noi e cercare Altrove. Per compiere questo esodo è necessario aver camminato nelle pieghe della nostra interiorità, accogliendo e amando la nostra povera umanità ferita.
Questo viaggio interiore è un modo per tenere vivo e acceso in noi il desiderio di Dio, è l’olio che vergini stolte dimenticano, mentre le sagge lo cercano, sapendo che questo lavorio interiore condurrà a quella sapienza necessaria per tutto predisporre alla venuta dello Sposo. L’olio che non deve mai mancare è il desiderio dell’attesa inscritto nella nostra carne, quindi non dobbiamo mai tralasciare la nostra umanità nella sua interezza. Stoltezza invece è pensare di poterne fare a meno o liberarsi di essa come un pensante fardello. Ma senza di essa, mutilandola di qualche aspetto che consideriamo detestabile o sconveniente, spegniamo il desiderio che spesso abita proprio le parti più ferite e fragili di noi. Ognuno arriva a questa consapevolezza mediante un lungo e personale cammino di autenticità, di sapienza, appunto: non si può chiederlo ad altri. Le vergini stolte, chiedendo l’olio a quelle sapienti, pretendono ciò che non può essere dato.
L’attendere, acceso e mantenuto vivo dalla passione dei nostri desideri, è il segreto dell’incontro, l’esercizio paziente e umile che abiliterà il nostro sguardo a riconoscere, quando arriva, lo Sposo, Dio, unico Amante dell’uomo, unico Amato in eterno, unico Amore fedele!
Carmelitane Scalze di Monte San Quirico