Questa domenica ci presenta Gesù nella sinagoga in giorno di sabato, ma non come uno scriba che si limita a ripetere o a commentare. Gesù ammaestra ‘come uno che ha autorità’, che definisce con certezza, che fonda su di sé la ragione di quello che insegna. E’ ciò che genera stupore, anche perché l’origine di quell’autorevolezza rimane segreta: si rivelerà a poco a poco e la scopriranno quelli che avranno colto in Gesù la Parola di Dio, il profeta promesso da Dio e da lui suscitato, sulla cui bocca ci saranno solo le parole di Dio. Di tale profeta tratta la prima lettura: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò” (Dt 18, 15-18). I cristiani vedono nel loro Maestro e Signore colui che porta a compimento la promessa contenuta nel Deuteronomio dove si annunciava un profeta pari a Mosè che avrebbe condiviso la vita del popolo e proclamato le parole divine con assoluta fedeltà. La promessa di Dio si avvera in Gesù nella forma più perfetta perché Gesù è il Verbo stesso di Dio: in lui ci sono le parole di Dio perché Egli è la stessa Parola di Dio, definitiva e assoluta. A conferma della sua autorità Gesù scaccia lo spirito immondo da un uomo che ne è posseduto. Gesù è venuto a vincere gli spiriti immondi con un comando secco ed efficace: “Taci! Esci da lui!”. Il Signore Gesù ha liberato il mondo dal dominio del male anche se solo alla fine la liberazione sarà perfetta; adesso l’uomo può ancore scegliere di aderirvi e lo fa quando vuole il peccato, che è sempre un consenso all’oppositore di Gesù. Ogni volta però che un peccato è riconosciuto e perdonato è in atto l’autorità del Signore sullo spirito del male e si realizza la venuta del Regno di Dio. Lasciato a sé solo, l’uomo non riesce a vincere il peccato e il demonio che nel peccato si manifesta. E d’altra parte, più uno è vicino a Cristo più avverte l’immondezza della colpa. E il senso stesso della colpa è un dono che viene dal Signore, dall’affinità a Lui.
Nella seconda lettura s. Paolo ci richiama a vivere nel mondo con distacco, senza affidarvisi completamente, perché solo il Signore deve rappresentare il vero termine del desiderio e della speranza. Dobbiamo cioè tenerci “fedeli al Signore, senza deviazioni”. E’ un avvertimento rivolto ad ogni stato di vita perché tutti siamo esposti alla stessa insidia, quella delle preoccupazioni. L’unica preoccupazione deve diventare il Signore Gesù, “preoccuparci delle cose del Signore” per restare saldi di fronte al rischio della divisione interiore. Non disinteressarsi delle cose del mondo, ma riconoscere il primato delle cose del Signore perché solo così la vita nel mondo acquista la verità e la profondità dell’amore.
Sorelle Clarisse San Micheletto