La liturgia di questa domenica ci pone dinanzi ad una scelta: “non si può servire due padroni… non potete servire Dio e la ricchezza”. Queste parole così chiare ci rivelano che non possono esserci compromessi o amiamo Dio e facciamo della sua Parola e del rapporto con Lui il centro della nostra vita in modo da agire in conseguenza a ciò, oppure amiamo altro e il nostro fulcro vitale diviene il nostro interesse, il denaro, la brama di potere. A noi spetta decidere cosa fare della nostra vita, il Signore non si impone ma ci lascia liberi, siamo dunque chiamati a discernere ciò che è buono e a mettere da parte tutto il resto.
Il testo del profeta Amos è un’invettiva contro il falso culto, egli scuote la coscienza dei ricchi, i quali sfruttano i poveri e gettano discredito sul patto di alleanza di Dio con il suo popolo. La denuncia del profeta si estende ad una pratica religiosa più preoccupata della formalità dei riti che della genuinità della fede, ed a una religione connivente con il potere e l’uso magico del nome di Dio; forti sono le parole di Amos:“ voi che calpestate, sterminate”. Ci sono due categorie: i ricchi usurpatori e i poveri, i miti coloro che attendono tutto da Dio. Gli oppressori contro cui si scaglia la denuncia del profeta, hanno il cuore gonfio di avidità e sopportano con insofferenza i giorni di riposo, i sabati, i noviluni perché in tali giorni non possono commerciare, essi sfruttano ogni occasione per comprare con il denaro gli indigenti. Di fronte alle ingiustizie e agli sfruttamenti presenti ancora oggi, siamo portati a reagire, a ricercare la giustizia, a porre il nostro contributo per alimentarla, questa parola di Amos ci spinge a credere che Dio stesso interverrà nella storia, poiché tutto è davanti ai suoi occhi ed Egli ascolta il gemito del povero.
L’apostolo Paolo ci indica un mezzo potente per centrarci su Dio: una preghiera forte, incessante aperta ad ampi orizzonti per tutti gli uomini, unita alla volontà di salvezza universale del Signore il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Tale preghiera ha la capacità di trasformare il mondo, di convertire i cuori e di donare alla nostra vita calma e tranquillità, di renderla dignitosa e dedicata a Dio; essa si fonda sul Cristo unico mediatore fra Dio e gli uomini, sul suo amore tale da donare sé stesso in riscatto per tutti. Anche noi siamo chiamati a seguire la sua via di oblazione e amore: la preghiera diviene uno strumento importante di amore perché ci pone in dialogo con Dio, attraverso essa presentiamo il mondo al Signore e possiamo intercedere per ogni uomo.
Nel Vangelo ritroviamo il tema della ricchezza iniqua: l’argomento viene proposto in un contesto di polemica con i farisei attaccati al denaro. Dalla vicenda di uno spregiudicato amministratore, Gesù trae spunto per darci alcuni insegnamenti sull’uso corretto dei beni nel mondo. E’ il racconto di un crollo amministrativo: il protagonista viene a trovarsi in un forte disagio non solo di condizione sociale perché rischia il licenziamento, ma anche e soprattutto esistenziale: che farò? Abituato al comando e ad una posizione agiata sa che per zappare non ha forza e per mendicare prova troppa vergogna; tale prova lo porta a cercare una soluzione che lo rende amico dei suoi stessi debitori scontando loro una parte del debito. Gesù loda questo amministratore non per il suo comportamento disonesto, ma per la scaltrezza e la radicalità con le quali trova una via di uscita da una situazione insostenibile, per il suo modo abile e tenace di mettere in atto tutte le strategie per assicurarsi l’avvenire. Allo stesso modo il discepolo è chiamato a giocare tutto sé stesso, ad usare tutte le sue energie e doni al servizio del Regno. L’adesione totale al Vangelo comporta un modo nuovo di gestire i propri beni: non si tratta di disprezzarli, ma di recuperare la loro originaria funzione di servizio e condivisione, Gesù condanna l’attaccamento ai beni perché essi divengono un idolo al punto di attrarre tutto il nostro interesse e di sostituirsi a Dio. Vi è poi, un parallelismo tra chi è fedele e chi è disonesto: la scorrettezza e la dedizione si manifestano a partire dalle piccole cose di ogni giorno, da ciò che ci viene affidato anche se sembra avere poca importanza poiché ogni nostro gesto è dinanzi agli occhi di Dio e siamo chiamati a vivere operando il bene. Chi vuole diventare discepolo deve cambiare la propria condotta di vita e porre Dio e la sua Parola al centro della sua vita.
Sorelle Clarisse. Monastero San Micheletto