La fede è il tema principale delle letture che la liturgia ci propone per questa domenica come “luce che illumina il cammino del futuro e fa crescere in noi le ali della speranza per percorrerlo con gioia” (LF 7).
Nella prima lettura ci viene presentato lo stato del mondo di tutti i tempi che per il profeta Abacuc non è più tollerabile: violenze e rapine dappertutto!. Questa violenza, iniquità e oppressione strappano al profeta un grido di indignazione e di impazienza: “Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: Violenza e non soccorri? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?. Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese” come a dire: tu Dio stai a guardare perché non intervieni? E’ l’eterno lamento dell’uomo di fronte al mistero del male, del dolore innocente, dell’ingiustizia. E il Signore gli risponde: “Abbi pazienza ciò che vedi avrà termine: “parla di una scadenza e non mentisce, se indugia, attendila perché certo verrà e non tarderà”.
“Certo”: è sicuro che verrà. Questa parola del Signore come tutte le sue parole diventano quanto di più sicuro e incrollabile possa esistere. La fede accoglie questa parola come roccia sicura sulla quale si può costruire su solide fondamenta (cfr LF 10). Il Signore conclude la sua risposta con un invito a credere in lui il giusto vivrà mediante la fede. Il giusto vivrà perché non confida in se stesso, nelle sue forze, ma pone tutta la sua fiducia in Dio.
Ecco nascere spontaneo dagli apostoli la richiesta rivolta a Gesù: accresci in noi la fede. Essi si rendono conto della loro poca fede di fronte alle esigenze che Gesù pone loro. Infatti questa richiesta degli apostoli avviene mentre Gesù sta salendo a Gerusalemme e lungo la via sta preparando i suoi allo scandalo della croce attraverso vari insegnamenti. Agli apostoli Gesù risponde che non occorre avere tanta fede per seguirlo, ma basterebbe averne poca, quanto un granellino di senape
Questa risposta di Gesù al condizionale significa che la nostra fede è ancora più piccola. Infatti il gelso ha radici resistenti ben abbarbicate alla terra e le tempeste non lo possono sradicare, la fede, invece, anche se ridotta a un frammento microscopico lo può sradicare perché la fede è la forza che cambia il mondo in quanto è la stessa forza di Dio partecipata all’uomo. Ecco perché da questa fede deriva lo spirito di forza e non di timidezza di cui ci parla S. Paolo nella seconda lettura. E’ il coraggio di non vergognarsi della testimonianza da rendere al Signore nostro e di soffrire per il Vangelo: un invito al dono totale di sé accettando anche le afflizioni. Seguire Gesù nella fede ed essere suoi testimoni non autorizza nessun atteggiamento di pretesa nei suoi confronti come pretenderebbe il padrone verso il servo nella seconda parte del Vangelo, ma si rimane servi inutili coloro cioè che fanno quanto dovevano fare sicuri che sarà Dio solo a ricompensare le loro fatiche perché nessun servo/apostolo/ministro di Dio è padrone della propria missione, né ha diritti sugli uomini a cui porta l’annuncio. Gli apostoli si sono consegnati a Dio e lo servono con gratuità. E’ il dono che fonda il senso del nostro fare. E’ il dono della fede che Paolo dice a Timoteo di ravvivare. E’ la fede in definitiva che dà senso a tutta la nostra vita e che sfocia nella carità.
Sorelle Clarisse
Monastero S. Micheletto