In queste domeniche del tempo ordinario la liturgia sta distribuendo alla nostra riflessione il cosiddetto discorso della montagna pronunciato da Gesù. Egli si rivela spesso come un predicatore affascinante perché sa condurre i suoi ascoltatori verso una proposta nuova attraverso la concretezza dell’esperienza quotidiana. Gesù per parlare alle folle prende ad esempio il sale e la luce, cioè il sapore e la luminosità che trasformano rispettivamente il cibo e la vastità delle tenebre. Secondo qualche studioso Gesù penserebbe forse al salgemma, “sale della terra”, di cui grondavano le sponde del salatissimo Mar Morto. Allora l’immagine attirerebbe anche l’idea di luce e di calore perché con questi blocchi i palestinesi attivavano le fiamme dei loro focolari. Il cristiano sarebbe allora, oltre che sapore della comunità cristiana, anche il calore che sgela le freddezze, le solitudini e gli egoismi. Il sale non si vede, ma si sente quando c’è: è ingrediente che non si nota eppure si avverte. Anche la luce è silenziosa, ma posandosi sulle cose ne esalta i colori. Il sale, cioè la sapienza che il cristiano riceve dallo Spirito, deve diffondersi con la parola e con le opere. Le parole sono sapienti se rivelano il disegno di Dio sul mondo, se annunziano Gesù Cristo, se liberano dalle sciocchezze, se danno il gusto di pensare e di lavorare. E saporose devono essere anche le opere. Lo ricorda la prima lettura tratta da Isaia che vede nell’impegno quotidiano delle opere di giustizia e di amore la luce del fedele. Non è concepibile una frattura tra culto e vita, non è concepibile una fede che non si incarni nello spezzare il pane con l’affamato e nel rendere disponibile la casa a chi è senza tetto. Non bastano le parole, c’è bisogno di opere di misericordia e di giustizia, di carità e di verità. Chi le compie è pervaso dalla luce e diventa luce: “Allora la tua luce sorgerà come l’aurora”, “allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio”. Niente impressiona il prossimo più di un atto di vera gratuità, così difficile, così raro e così capace di provocare la gloria di Dio. Le opere buone sono la lucerna che non deve stare sotto il moggio ma sul candelabro perché faccia luce “a tutti quelli che sono nella casa”. Gesù domanda che il suo Vangelo e la coerenza ad esso non restino nascosti, poiché è nella loro natura luminosa di farsi vedere, così come una città collocata sopra un monte non può sottrarsi allo sguardo. La chiesa è accettata come luce nella misura in cui lotta per togliere le tenebre che gravano sul cuore dell’uomo. E’ un cammino che viene dall’interno, come il sale che dà sapore al cibo solo quando si mischia con esso e si perde in esso. E’, d’altra parte, il ‘metodo’ seguito dal Signore che ha redento l’uomo dall’interno assumendo non la forma, ma la natura umana.
Sorelle Clarisse S. Micheletto