La prima lettura ci presenta la vocazione del profeta Giona. Dio si rivolge al profeta con un ordine di missione: “Alzati, va’”. Il profeta esegue l’ordine ricevuto da Dio: “Giona si alzò e andò…”. Giona obbedisce subito, percepisce la chiamata come una forza irresistibile, non valuta i pro e i contro, non pensa alle conseguenze, ma fa un salto nel vuoto fidandosi della Parola di Dio. Tuttavia per Giona questa è la seconda chiamata da parte di Dio perché nei capitoli precedenti si era comportato diversamente: aveva resistito, aveva dubitato, aveva valutato. Infatti al comando del Signore che lo mandava a Ninive, la città dei nemici, Giona era fuggito: “Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore” (1,3). La chiamata, però, non è fine a se stessa, ma è sempre per una missione: “proclama che la loro malizia è salita fino a me”(1,2), Giona proclamava: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. E la missione ha sempre per scopo la conversione: “Dio vide che si erano convertiti dalla loro condotta malvagia…”:
L’evangelista Marco ci presenta Gesù all’inizio della sua vita pubblica. Giovanni Battista è arrestato: la Voce che gridava nel deserto: “preparate la strada al Signore; … fate opere degne di conversione”, ora lascia il posto alla Parola, a Gesù Cristo che proclama: “il tempo è compiuto”, – cioè è finito il tempo dell’attesa – “e il regno di Dio è vicino ( S. Paolo nella seconda lettura dirà: “il tempo si è fatto breve”) convertitevi e credete al Vangelo”.
E’ in questo contesto che si inserisce la chiamata dei primi quattro discepoli. Gesù passa lungo la riva del lago e vede Simone e Andrea nell’intento di gettare le reti in mare, e poi Giacomo e Giovanni con il padre e i garzoni che riparavano le reti.
Gesù entra nella vita quotidiana delle due coppie di fratelli, intenti al loro lavoro quotidiano e, rivolgendosi loro, dà un comando: «venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini!»
Lo scopo della chiamata da parte di Gesù è quello di fare di essi dei pescatori di uomini. Si sentono affidare una missione di cui forse non comprendono fino in fondo il senso, ma che era sempre qualcosa che li avrebbe allontanati da quel mestiere che rappresentava la sicurezza per il loro futuro, per la famiglia e li avrebbe strappati dai loro affetti familiari. Ma una tale missione è preceduta da un comando: venite dietro a me.
Nessun maestro aveva l’ardire di avanzare una simile proposta. Al tempo di Gesù c’erano maestri che si circondavano di discepoli, ma erano i discepoli a scegliersi il maestro per conoscere la Torah; una volta conseguito il fine, erano pronti per essere, a loro volta, maestri per altri che volevano seguire la stessa strada. E’ Gesù invece che chiama a sé quelli che egli volle (cf 3,14) e non per farne dei bravi maestri, ma perché lo seguissero. È questo un punto fondamentale del discepolato evangelico: non si tratta di imparare qualche cosa dai libri con l’aiuto di un esperto, ma si tratta di seguire una Persona.
La sequela dietro a Gesù è qualcosa che determina tutta la vita del discepolo, non solo l’istante in cui è chiamato ma riguarda tutta l’esistenza. Si tratta di un cammino il cui punto fermo è la Persona di Gesù, lo stare con Gesù.
Prima di tutto lo stare con Gesù racchiude un paradosso, perché in realtà stare con il Maestro, potrebbe far pensare a un fermarsi con lui in un luogo, per un periodo di tempo abbastanza prolungato, invece, dalla testimonianza dei vangeli, stare con Gesù ha coinciso con un essere in continuo movimento; si è trattato di un continuo andare dove si recava il Maestro per annunciare e scacciare i demoni, nelle sinagoghe, sulle piazze della città, lungo il mare di Genezaret, nelle varie case dove il Maestro era invitato, lungo la strada…
Ma non era solo un movimento di tipo spaziale, ma soprattutto si trattava, per i seguaci di Gesù, di uscire continuamente da sé per accogliere la novità di Gesù; si trattava di una continua conversione. Del resto per l’evangelista Marco la sequela vuole essere un esempio concreto di che cosa significhi convertirsi e credere al Vangelo (cf 1,15).
Sorelle Clarisse
Monastero S. Micheletto