Nella Sacra Scrittura troviamo spesso il ricorso alle immagini del mangiare e del bere, del banchetto festoso, del convito tra amici, della condivisione di cibo e bevande. Il pasto poi non viene mai considerato solo in relazione alla necessità di nutrirsi per conservarsi in vita, ma assume un valore religioso. Anche il Vangelo ci presenta spesso Gesù che utilizza l’immagine del banchetto per annunciare i tempi nuovi del suo Regno. Ed è sempre nel contesto del convito che Egli anticipa il mistero della sua morte sulla croce come vita donata per la salvezza del mondo. Mangiare e bere il Corpo e il Sangue del Signore ci rimanda al pane vivo disceso dal cielo che è pegno di risurrezione, è vivere in eterno. La prima lettura nella figura simbolica della Sapienza parla di una casa da lei edificata, ossia di una vita da costruire insieme nella saggezza e nella solidità dei suoi insegnamenti. Il Vangelo approfondisce il senso di questa ‘casa’. Mangiare e bere il Signore è legato al nostro dimorare in lui e al suo dimorare in noi. I giudei che ascoltano Gesù restano sconcertati e discutono aspramente fra loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6, 52). I giudei vedono un uomo come loro che si offre in cibo. Che cosa potrebbe esserci di più folle? E Gesù, Sapienza di Dio incarnata, non solo non accetta l’obiezione ma rafforza la sua affermazione: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (v. 53). Chi rifiuta questo convito non sarà risuscitato nell’ultimo giorno per la vita eterna. Mangiare la carne e bere il sangue di Cristo è condizione per avere la vita, ma non una vita qualunque, piuttosto la vita del Padre della quale Gesù stesso vive. Il mangiare l’Eucaristia non è solo la consumazione di un cibo sacro, ma è il lasciarsi amare, nella comunione più intima, da Colui che è la persona del Verbo fatto carne. La vita eterna è già cominciata, è una vita vera, autentica, piena di bagliori di luce; una vita buona, bella, beata. La carne e il sangue di Gesù non indicano solo il materiale fisiologico di un corpo umano, ma indicano tutta la sua vita, la sua umanità, la sua esistenza di uomo, la sua compassione, le sue lacrime che indicano come amava, come viveva, come sperava. Gesù non dice: prendete la mia sapienza, mangiate la mia santità. Egli dice: prendete la mia umanità, la mia esistenza come lievito della vostra. L’uomo è l’unica creatura che ha Dio nel sangue e nel respiro. Gesù è interno a noi, più intimo a noi di noi stessi. Mangiare e bere Cristo significa essere in comunione con il suo segreto vitale, cioè con l’amore che va fino alla croce, fino alla carne inchiodata, fino al sangue versato. Egli possiede il segreto della vita che non muore. Gesù appare davanti a noi nel silenzio di un piccolo pane eppure questo piccolo pane ci dà la comunione con Dio. Essere uno con Dio è il fine e lo scopo della vita. Un piccolo pezzo di pane che è un pezzo di Dio in noi perché noi possiamo essere un pezzo di Dio nel mondo.
Sorelle Clarisse S. Micheletto