“Voi chi dite che io sia?” La domanda posta da Gesù ai suoi discepoli ci accompagna in questa Domenica, domanda alla quale troviamo risposta nelle letture proposte dalla liturgia odierna, ma che interpella ognuno di noi, la nostra fede e la nostra vita.
Nella prima Lettura, il terzo canto del servo di Jhwh, è il servo stesso che parla in prima persona descrivendo la propria missione e vocazione. Egli è un iniziato, “il Signore mi ha aperto l’orecchio”, capace di comprendere e annunciare la Parola di Dio. Sa che il Signore è con lui, “il Signore Dio mi assiste”: con questa certezza e con totale affidamento, egli porta avanti la sua missione nonostante le difficoltà e le sofferenze che tale missione comportano. “Non ho sottratto la mia faccia agli insulti e agli sputi”: con la sua sofferenza il servo di Jhwh, si sostituisce a coloro che avrebbero dovuto pagare per i propri peccati, offre sé stesso, la propria vita. Tale sofferenza espiatrice permette al servo di concludere una alleanza nuova di valore universale, per questo la lettura cristiana di questa figura ha visto in essa numerosi riferimenti a Gesù, il Messia sofferente che passa attraverso la Passione e la morte di croce per realizzare il disegno salvifico del Padre: quello di concludere un’alleanza nuova ed eterna con l’umanità, riconducendola per sempre all’amore del Padre. Siamo chiamati ad accogliere questa grazia con la nostra risposta di fede, come ci ricorda l’apostolo Giacomo nella sua lettera: “la fede senza le opere è morta”, una fede che si manifesta con la vita, con l’apertura del cuore a Dio e ai fratelli, nella ricerca di compiere la volontà di Jhwh. Le nostre azioni non conquistano la salvezza, ma ci permettono di entrare in un rapporto più profondo con il Signore, in un dialogo alimentato dalla preghiera e dal desiderio di assomigliare al Figlio amato. Siamo chiamati ad essere collaboratori della sua opera di salvezza, a vivere ogni giorno secondo quanto il Signore Gesù ci ha insegnato con la sua vita, a desiderare di affrettare la venuta del Regno di Dio.
L’episodio narrato nel Vangelo costituisce lo spartiacque di tutto il racconto di Marco: la confessione sulla vera identità di Gesù, affermata dai discepoli, non è il culmine di un cammino di conoscenza del Cristo, ma solo una tappa. I discepoli devono capire ed accettare che Gesù è diverso da come lo attendevano, non un Messia che vince usando la forza e le armi, ma un Dio che usa solo la forza dell’amore. Come loro, anche noi dobbiamo continuamente purificare il nostro cuore dalle false immagini di Dio e accogliere un Salvatore che passa attraverso la sofferenza e la morte. Il Signore non percorre la via regale della potenza e del successo, ma della croce, venuto come servo si fa vicino ad ogni uomo per donargli la sua stessa vita e la sua dignità filiale.
Pietro non comprende questo: “lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo”, la sua reazione è quella di ognuno di noi di fronte al dolore: respingerlo, ribellarsi ad esso. In realtà il centro della nostra fede è proprio questo: credere alla gloria del Figlio di Dio e insieme accettare l’umiliazione della croce. “Va dietro a me”: Gesù rimanda il discepolo al suo posto, rimprovera Pietro come tentatore che vuole allontanarlo dalla sua missione e lo richiama alla sequela: mettersi dietro al Maestro, seguire i suoi passi e non porsi davanti indicandogli cosa deve fare.
“ Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita al perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Questa è la strada da percorrere per seguire il Signore: il ritratto del discepolo deve avere impressi i lineamenti del Maestro perciò, come Lui, deve donarsi senza riserve, porsi la propria croce sulle spalle e seguirlo fidandosi di Dio e del suo amore.
Monastero Clarisse San Micheletto