Essere turbati, talora fino all’angoscia, è profondamente umano. L’inquietudine può nascere dal senso della solitudine, dal non avere un luogo dove stare, una mèta da raggiungere, un amore da sentire. Per chi crede però –dichiara Gesù nel Vangelo- queste ragioni non tengono: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14, 1). Grazie alla fede le vicende del mondo non ci travolgono perché sappiamo che Gesù con la sua vita, morte e risurrezione ci assicura un posto nella casa del Padre suo. In questi discorsi di addio dell’ultima cena Gesù ha parlato del suo viaggio verso la casa del Padre, il simbolico palazzo celeste segno della comunione con Dio oltre la morte. Verso questa casa dovrà incamminarsi anche il discepolo di Cristo. E’ a questo punto che Tommaso con realismo avanza la sua domanda: “Signore, non sappiamo dove vai; come posiamo conoscere la via?” (Gv 14, 5). La replica di Gesù è potente: è solo seguendo il Vangelo da lui rivelato e che il lui si è incarnato che noi troveremo la via della vita piena e perfetta, la strada per accedere a quella casa in cui saremo sempre con Dio. Gesù dovrà anche constatare con amarezza: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?” (Gv 14, 9). L’apostolo Filippo dopo una lunga consuetudine di vita con Cristo non ha ancora occhi capaci di vedere in profondità. Non riesce a passare al di là della superficie degli eventi, al di là della concretezza e della fisionomia umana di Gesù. Tommaso e Filippo sono due figure concrete, con una loro vicenda personale; eppure sono al tempo stesso qualcosa di universale; i loro lineamenti spirituali si trovano anche dentro di noi. Gesù è la via che guida a Dio attraverso la verità della sua rivelazione, il Vangelo e ci fa approdare a quella vita divina che egli condivide con il Padre. Gesù è il fondamento della Chiesa, la ‘pietra viva’ (seconda lettura). Su questa base si alzano le pareti della Chiesa fatte di tante ‘pietre vive’. Sono i cristiani sparsi nel mondo che con la loro vita innalzano un tempio molto più nobile di qualsiasi artistico edificio. All’interno di questo tempio si celebrano i sacrifici spirituali dei quali parlava s. Paolo nella lettera ai Romani: “Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” (Rm 12, 1). Il ‘corpo’ è la vita quotidiana, ciò che incontriamo e viviamo ogni giorno, è la realtà concreta dalla quale sale a Dio l’offerta del nostro culto spirituale. Ai piedi della roccia che è Cristo tutta la comunità cristiana è consacrata per un ‘sacerdozio santo’. Accanto agli apostoli (prima lettura) che hanno il compito di presiedere il culto ed annunziare la Parola di Dio nella Chiesa, tutti i fedeli col sacerdozio ‘comune’ ricevuto nel battesimo devono essere testimoni del Cristo risorto in mezzo al mondo, accogliendo le domande e le speranze dei fratelli che cercano Dio.
Sorelle Clarisse S. Micheletto