Le letture di questa Domenica sono un inno alla vita. Esse ci presentano il Signore che dà la vita a questa umanità. immersa nel peccato e nell’ombra della morte, rappresentata dai vari personaggi che Gesù incontra per la via. “Dio non ha creato la morte. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano” come ci ricorda la prima lettura. E Gesù è venuto nel mondo a ridare vita, cioè salvezza a ciò che era perduto.
Il brano evangelico che la liturgia ci propone fa parte dei quattro miracoli narrati da Marco dopo il discorso in parabole. Sono due miracoli intersecati l’uno nell’altro quasi a formare un unico episodio di guarigione perché si può guarire dalla morte solo se prima siamo stati guariti dalla malattia. L’emoroissa e la figlia di Giairo si stanno incamminando entrambe verso la morte. La malattia dell’emoroissa è vista come simbolo della morte: le perdite di sangue sono considerate una perdita di vita, un venir meno della vita a poco a poco perché nella cultura biblica la vita risiede nel sangue. Inoltre le perdite di sangue rendevano impuri quindi isolati dalla vita comune e rendeva impuri anche coloro con i quali venivano in contatto. Da dodici anni, infatti, questa donna è malata senza riuscire a guarire, anzi peggiorando. E dodici anni ha la figlia di Giairo per la quale il papà va a chiedere la grazia al Signore: “Vieni che la mia figlioletta sta morendo”.
Il passaggio dalla morte alla vita è dato sì dalla presenza di Gesù che guarisce, sana, salva e infine dà la vita, ma soprattutto dalla fede dell’emoroissa e di Giairo. Giairo si avvicina a Gesù e chiede la guarigione della figlia: “gli si gettò ai piedi”. Non ha più nessuna speranza se non in Gesù. A questo punto si inserisce l’episodio dell’emoroissa che tra la folla si fa coraggio e timorosa “da dietro tocca il mantello di Gesù”. Diceva infatti: “se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti sarò salvata”. E Gesù dopo aver saputo il racconto della donna le dice: “Va’ la tua fede ti ha salvata”.
Giairo è ancora là che aspetta che il Signore vada con lui quando viene a sapere: “Tua figlia è morta”. Ma Gesù: “Non temere, soltanto abbi fede”. Proprio quando umanamente tutto sembra perduto Gesù chiede la fede, chiede di credere unicamente sulla Sua Parola. Mediante la resurrezione della ragazza Gesù si presenta come il Signore della vita. A un suo gesto, a un comando la ragazza si alza e riacquista tutta la sua vitalità. Si tratta solo di un ritorno alla vita terrena, ma è già un annuncio della resurrezione futura, quando coloro che si sono addormentati nella morte saranno risvegliati alla pienezza della vita in Dio.
Il salmo responsoriale può essere considerato un rendimento di grazie per la guarigione ricevuta: “Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato. Signore hai fatto risalire la mia vita dagli inferi, mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa. Hai mutato il mio lamento in danza. Signore mio Dio ti renderò grazie per sempre”.
Nella seconda lettura S. Paolo sta parlando della colletta per la chiesa madre di Gerusalemme di cui egli si è fatto promotore. Condividere i propri beni con chi ne è privo è un atto di culto e nella sua saggezza apostolica Paolo insegna che “non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza”. Ciò che per te è superfluo, per gli altri è solo il necessario. Tutti i beni che abbiamo vengono da Dio e la nostra vita non dipende dai beni che abbiamo, ma da Dio che ce li dona non per tenerceli per noi, ma per condividerli come si fa tra compagni di viaggio o di pellegrinaggio perché ancora una volta come nella prima lettura e nel brano evangelico dobbiamo riconoscere che il Signore è il Signore della vita.
Sorelle Clarisse
Monastero S. Micheletto