Commento alle letture XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Il filo conduttore della liturgia di questa domenica è il tema del pane/cibo. Il termine pane designa la vita, in quanto nutrimento essenziale, ma comprende in sé anche altre valenze simboliche: pane come risorse economiche, lavoro, sicurezza, futuro…
La fame ricapitola ogni bisogno fondamentale dell’uomo. La prima lettura parla del dono della manna agli Israeliti nel deserto. Dopo l’uscita dall’Egitto il viaggio nel deserto si presenta come una sequenza di mancanze vitali. Il deserto è il tutto e il nulla, non si coltiva, non si miete, non si conosce la strada. Il deserto è il luogo dell’intimità sponsale di Dio con il suo popolo come ricorda il profeta Osea, ma è anche, nella sua asprezza e nudità, una sorta di radiografia del cuore perché l’uomo si rivela per quello che è senza maschere di fronte alla propria creaturalità e al proprio limite. La mancanza di cibo porta Israele a mormorare. E’ un mormorare che dice la nostalgia della schiavitù egiziana fino a scambiare i soprusi e gli stenti in una grossa sicurezza. E’ un mormorare che diventa il costante peccato di Israele nel deserto. Dio interviene di sua iniziativa, la sua promessa di pane si realizza e Mosè rende consapevole il popolo che questo pane è dono di Dio, frutto della sua gratuità amorosa. Dio non illude, né delude; resta il Dio compagno di viaggio ma non manipolabile a proprio piacimento. Il messaggio di questa lettura anticipa il brano del Vangelo in cui Gesù si presenta come pane di vita nel discorso di Cafarnao. Il Padre in Gesù risponde ai bisogni dell’uomo e non offre un cibo solo per gli ebrei, ma dà un cibo eterno per tutta l’umanità. Gesù è il pane e il nutrimento che placa la fame della storia e chi crede in Lui in maniera autentica ritrova il senso dell’esistenza e si abbandona con fiducia e docilità a Colui che spezza come pane una parola che non inganna. Ci sono anche delle aspettative proiettate in Gesù che fanno sì che la ricerca di Lui non arrivi ad incontrarlo. Gesù si sottrae a chi lo cerca per farlo re e rimprovera chi lo cerca solo per sperare da Lui del cibo. Noi stessi proiettiamo su Gesù attese e desideri che nulla hanno a che fare con la verità della sua persona e del suo annuncio. Spesso poi ci volgiamo a Gesù cercando in Lui lo sparire delle nostre negatività e dei nostri limiti. All’adesione a Gesù dobbiamo aggiungere l’adesione alla realtà, ovvero scoprire, manifestare i propri limiti, riconoscerli, nominarli e accettare le deficienze che ci abitano per farne il luogo della nostra conversione. E’ necessario scoprire la propria feribilità per abbattere quell’’io’ ideale che ci costruiamo. E’ un ‘io’ immaginario, non reale, è l’immagine di sé inculcata dall’educazione, dall’ambiente, è un’immagine forgiata come doverosa realizzazione di sé, pena il proprio fallimento. La percezione invece della propria debolezza ci conduce alla presa di coscienza della contraddizione che è in noi e che non può essere rimossa ma piuttosto assunta per farne uno spazio aperto alla grazia e al lavoro dello Spirito Santo, l’unico che può accordare il nostro desiderare e sentire al desiderare e sentire di Gesù. Non è da dimenticare che l’itinerario di fede è fatto di passaggi: dal morire di fame al voi avrete pane a sazietà (prima lettura), dall’uomo vecchio all’uomo nuovo (seconda lettura), dal cibo che non dura al cibo che rimane per la vita eterna (Vangelo). Bisogna insomma imparare a rinascere, solo così si scopre che Dio ci ri-crea. Gesù parla dell’opera di Dio ponendo la questione: sappiamo noi leggere i segni di Dio posti costantemente nella nostra vita? I segni che pervengono a noi dal vissuto umano ci rimandano ai segni di Dio? L’opera più grande che l’uomo può fare è credere. Non si tratta di cose da eseguire, ma di una posizione da prendere. Non si tratta di fare, ma di essere; non di compiere, ma di compiersi. Si tratta in fondo di una vita e non di un atto o di un’idea. La seconda lettura ci ricorda che non dobbiamo semplicemente correggere qualche vizio o difetto caratteriale, ma di lasciarci plasmare in una nuova creazione. Essere uomini nuovi significa essere uomini come li sogna Dio, a immagine e somiglianza del Figlio Gesù Cristo. Proprio questo contrasto tra l’effimero e l’eterno prepara a quello tra il cibo che perisce e il cibo vivo ed eterno del Vangelo. Sorelle Clarisse S. Micheletto