Le letture di questa XXXIII domenica fissano la nostra attenzione sull’accoglienza operosa del regno. Sono poste alla fine dell’anno liturgico per invitarci a considerare il ritorno del Signore Gesù. Noi viviamo tra la prima venuta di Gesù e la seconda, aspettiamo cioè che Egli torni definitivamente. La Sua Parola vuole insegnarci un’attesa desta e operosa mentre viviamo questa vita fatta di tante giornate che scorrono una dietro l’altra. Che cosa dobbiamo fare mentre aspettiamo, mentre guardiamo scorrere la vita? Queste letture ci suggeriscono innanzi tutto di accettare e accogliere il dono della salvezza.
Infatti, i beni che quell’ uomo consegna ai suoi servi prima di partire (Mt 25, 14), i talenti cioè, non sono da considerare solamente e unicamente come le doti naturali di ciascuno. Certamente anche questo, ma quali sono i beni del Signore se non la sua stessa vita –che ci dona al momento della morte sulla croce prima di partire- l’amore del Padre e l’Ospite dolce dell’anima che è lo Spirito Santo?
Allora investire, trafficare i talenti, cioè i beni del padrone, significa accettare l’amore che il Padre ci lascia in dono e andare verso i fratelli. Così la risposta all’amore del Padre si duplica nella misura in cui ci apriamo ai fratelli. E i fratelli ci consentono di “guadagnare” la nostra propria identità di figli perché l’amore per il prossimo ci rende “figli dell’Altissimo” (cf. Lc 6, 35; Mt 5, 45). La fedeltà nelle cose quotidiane ci guadagna la dimora eterna; i nostri piccoli gesti di amore verso i fratelli ci fanno diventare figli, figli che partecipano alla gioia del regno del Signore (Mt 25, 21). Sono davvero piccoli gesti che a volte compiamo anche inconsapevolmente (cf. Mt 25, 35-36), ma che sono espressione dell’amore che portiamo in cuore e che si traduce magari in un sorriso, un aiuto a un povero, una visita a un malato, un pezzo di pane a chi ha fame, il perdono a chi ci ha offeso.
Questa domenica dobbiamo domandarci se abbiamo il coraggio di rischiare di vivere del talento ricevuto perché sappiamo che chi non rischia non può guadagnare, sappiamo che il Signore ha detto: “Chi perde la sua vita per me la trova” (cf. Lc 9, 24; Mc 8, 35). Nostro modello è la donna del libro del Proverbi: nella sua grande laboriosità “non verrà a mancargli il profitto” (Pr 31, 11) perché “apre le sue mani al misero, stende la mano al povero” (v. 20).
Il servo dichiarato dal padrone malvagio e infingardo ha avuto paura e ha pensato di conservare quello che aveva per timore di perderlo dato che il padrone lo vede come un uomo duro, esigente, che chiede più di quello che dà. In realtà il padrone è buono e chiede di entrare nella sua logica di dono e di scambio. Egli porta ad esempio i banchieri. Con l’esperienza che abbiamo noi oggi delle banche sicuramente ci crea imbarazzo trovare dei banchieri nel Vangelo. Il Signore vuole che prendiamo spunto da quell’agire del prendere, del dare e dell’investire che caratterizza la loro attività. Così i figli del regno ricevono amore e donano amore e sono veramente “figli della luce e figli del giorno” (2° lettura). Chi risponde all’amore è in grado di ricevere e dare sempre più amore. “…a chiunque ha sarà dato…” (Mt 25, 29) perché il Signore un’altra volta aveva promesso: “Date e vi sarà dato” (Lc 6, 38). Chi dona non si impoverisce, ma è nell’abbondanza e può presentare al padrone che torna i talenti moltiplicati, arricchiti, mentre il servo malvagio consegnerà quello che non ha avuto il coraggio di perdere: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà” (Lc 9, 24).
Sorelle Clarisse di S. Micheletto
