“Donaci, Signore, il pane del cielo” è il ritornello del salmo responsoriale che suggerisce al nostro cuore ciò che dobbiamo chiedere a Dio con fiducia. Il Vangelo infatti parla di una folla che cerca Gesù, che lo cerca senza sapere esattamente che cosa vuole e sarà Gesù stesso a spiegarle l’ambiguità di cui è vittima: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6, 26). Gesù non rimprovera la nostra ricerca del pane quotidiano, ma piuttosto il fatto che nella moltiplicazione dei pani non si è visto un ‘segno’ che innesca un cammino di fede verso l’essenziale; Gesù rimprovera alla folla, a noi oggi, che il nostro vedere non porta a credere ma a rimanere tante volte in una logica di beni immediati, segni ripetuti che dispensano dal credere. Gesù chiede un cammino di affidamento e di sequela nella fede. I nostri desideri devono spingerci a riconoscere che sono il segno di qualcosa di più grande, di un desiderio più radicale, dell’Assoluto, del solo pane che sazia il desiderio dell’uomo. Da qui la richiesta: “Signore, dacci sempre questo pane” (Gv 6, 34). Al termine della discussione con Gesù la folla sembra aver capito che il dono più importante che possono attendere da Dio non è il pane di cui hanno appena usufruito; quello è solo il segno di un altro pane, è un segno che serve a svegliare nel cuore degli uomini un’altra fame, quella di Dio.
Il popolo di Israele in cammino nel deserto (1° lettura) davanti al bisogno essenziale del cibo si lamenta e mormora; la qualità della sua fede e del suo amore per Dio, che tanto ha fatto per il popolo, è messo alla prova. La nostalgia del pane assicurato (Es 16, 3) fa dimenticare le sofferenze sperimentate in Egitto e cancella la memoria dei doni ricevuti da Dio, della libertà donata.
La prova, come tempo di maturazione, costringe a riflettere per capire verso quale meta stiamo effettivamente camminando, se ci lasciamo condurre dal Signore o se non sappiamo più alzare lo sguardo perché siamo caduti nell’idolatria delle cose. Dio ha risposto alla mormorazione del popolo donando la manna, ma ha anche educato l’uomo a capire che non si vive solo di pane, ma di Dio stesso che è fonte e traguardo della vita dell’uomo. Dio non ha mai smesso un istante di educare il suo popolo, e lo ha fatto non disprezzando le sue legittime esigenze, ma ricordandogli che la vita umana non può accontentarsi di briciole di amore, di verità, di gioia, perché l’esistenza umana è fatta per l’infinito. Per questo Gesù osa definirsi “pane della vita” dell’uomo.
La seconda lettura di s. Paolo agli Efesini ci offre una parola forte che calza perfettamente in una comunità cristiana dove la fede è incerta e debole. L’ apostolo parla chiaramente: “Abbandonare l’uomo vecchio…rinnovarsi nello spirito…rivestire l’uomo nuovo”. E’ forte la tendenza e il rischio di fermarsi alle creature senza risalire al Creatore e ricadere così nell’idolatria delle cose che passano. L’uomo vecchio è sempre pronto a prendere il sopravvento, ma il cristiano è un essere nuovo, scelto da Dio per sempre. Sarà lo Spirito Santo a spingerci continuamente, a rinnovarci, a rialzarci per vincere ciò che si oppone al realizzarsi del disegno di Dio nella nostra vita.
Sorelle Clarisse S. Micheletto
