La liturgia della Parola di questa Domenica ci invita a riflettere sul rapporto tra Legge e vita. La Legge, data da Dio per la libertà del suo popolo e per vivere una relazione con Lui fondata sulla fiducia e sulla figliolanza, rischia di divenire un idolo che indurisce il cuore e lo allontana dal Signore, una pura formalità che non fa entrare in rapporto vitale con Dio se vissuta soltanto fine a sé stessa.
“Ascolta Israele le leggi perché viviate” nella prima Lettura, tratta dal libro del Deuteronomio, troviamo nelle parole di Mosè, il vero significato della Torà: non una serie di norme giuridiche, ma un insieme di disposizioni per la salvezza di Israele, insegnamenti di Jhwh che indicano la via da seguire per vivere l’alleanza. Le istruzioni e i precetti che Mosè dà al suo popolo da parte di Dio rendono Israele un popolo diverso dagli altri, che trova la sua saggezza nella relazione con il suo Dio: “le osserverete e le metterete in pratica, quella sarà la vostra saggezza e intelligenza agli occhi dei popoli”. La Torà è dunque, rivelazione dell’amore e della fedeltà del Signore che si è legato in modo particolare a Israele, tanto da renderlo un popolo privilegiato: “quale grande nazione ha gli dei così vicini a sé come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?”. L’ascolto della Parola e la risposta ad essa nella fede, sono la condizione di vita per Israele che lo orientano alla pienezza della felicità e della pace.
Mosè insiste sul non aggiungere e non togliere nulla alla Legge, tale indicazione non è per una scrupolosa osservanza fine a sé stessa, ma per far comprendere che la Torà è un dono del Signore, che ha liberato Israele dalla schiavitù e lo ha condotto verso la terra promessa. Scopo della Legge è quello di educare all’amore di Dio e del prossimo: questo è anche il tema della lettera di Giacomo(seconda Lettura), che esorta all’accoglienza docile e amorosa della Parola: “accogliete con docilità la parola che è stata piantata in voi”. E’ necessario che tale Parola non solo sia accolta, ma anche meditata, fatta scendere nelle profondità del cuore perché diventi fonte di salvezza, norma da vivere: “siate di quelli che mettono in pratica al parola”.
Sulla religione autentica si basa la disputa di Gesù con i farisei che ascoltiamo nel Vangelo di oggi. I discepoli vengono accusati dai farisei di non attenersi alle tradizioni del padri. Gesù risponde citando un passo del profeta Isaia per portare l’attenzione su ciò che veramente è importante: obbedire all’insegnamento di Dio. Egli non vuole annullare le tradizioni, ma riportare l’uomo a ciò che esse significano, non fermarsi semplicemente al rito, ad un atto formale, ma andare più in profondità, affinché, tali tradizioni, siano strumento per avvicinare il cuore a Dio, purificarlo e aprirlo alla sua Parola. Se il rito prende il sopravvento sulla partecipazione interiore ci si ferma ad un puro atto esterno, ma non c’è un vero coinvolgimento di tutta la persona con il Signore: per questo il rischio e quello di seguire gli insegnamenti degli uomini più che i precetti di Dio e la sua volontà. Le prescrizioni sulla purità esemplificate nella lavanda delle mani, date dal Signore come richiamo alla purezza del cuore e della vita, erano state trasformate in un ossessivo legalismo che esauriva ogni altro impegno religioso. Per questo Gesù oppone a queste pratiche esteriori il comandamento di Dio che, invece coinvolge tutta la persona, i suoi affetti, la sua vita.
Questo Vangelo interroga anche noi oggi sul nostro modo di vivere i precetti dati dal Signore, se davvero ci lasciamo plasmare da essi affinché il nostro cuore, il nostro modo di agire si formi secondo il pensiero di Dio e, a poco a poco tutta la nostra vita divenga trasparenza della vita divina che Gesù è venuto a donarci.
Monastero Clarisse San Micheletto