La liturgia di questa domenica ci propone tre letture che sono un concentrato di paradossi.
La prima lettura ci parla di un re messianico che appare in atteggiamento mite e indifeso, cavalca un asino e non un cavallo simbolo di forza e ricchezza. Egli non si presenta come un re guerriero e vittorioso, ma come re di pace che spezza i simboli e gli strumenti di guerra. Attraverso questa sua debolezza che è la sua ricchezza Egli domina il mondo: il suo dominio sarà da mare a mare. A questo versetto della prima lettura fa eco il salmo: il suo dominio si estende ad ogni generazione . Inoltre il salmista ci invita ad esaltare questo re mite e umile, a benedire il suo nome e a lodarlo. Ma perché? Perché Egli è paziente e misericordioso, lento all’ira e ricco di grazia, buono e tenero. In quattro righe ci viene esplicitato chi è Dio. Infatti questa strofa del salmo ci rimanda al libro dell’Esodo 34,5-8 quando Mosè chiede a Dio di vedere il suo volto e Dio passa davanti a Lui proclamando : Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà. E’ Dio stesso che si rivela a noi e ci dice chi è e ciò che lo caratterizza.
Questa stessa rivelazione di Dio la ritroviamo nel brano evangelico quando Gesù dice: imparate da me che sono mite e umile di cuore. Inoltre anche la pericope evangelica ci presenta dei paradossi. Prima di tutto questa preghiera di giubilo che il Signore rivolge a Dio chiamandolo prima Padre e poi Signore del cielo e della terra. Inoltre questa preghiera termina con un invito a mettersi alla sua scuola: venite a me … prendete … imparate da me … troverete. Al centro il motivo della lode: Gesù loda Dio perché ha tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli. Cosa sono queste cose? I misteri del Regno cioè l’intimità del Figlio con il Padre nascosta ai sapienti e agli intelligenti perché il Regno non è il privilegio di una setta di “conoscitori” e di “iniziati”, ma Colui al quale il Padre ha affidato tutto è Lui stesso un povero che si colloca al livello al quale invita i discepoli a collocarsi assumendo lui stesso per primo le infermità degli uomini.
L’imitazione di Cristo non è una conquista dello sforzo umano, ma è frutto della grazia e questa grazia ci viene donata dallo Spirito Santo – ci dice la seconda lettura – che ora abita in noi e che ci comunica la stessa vita di Dio il dono del suo amore. Grazie alla rivelazione, che lo ha raggiunto mediante il Vangelo, il battezzato non è più sotto il dominio della “carne” (dunque delle forze che non sono permeate dalla salvezza e perciò possono fuorviare da essa), ma dello Spirito. Il battezzato vive nello Spirito dal momento che lo Spirito di Dio abita in lui. Questa vita nello Spirito diventa esperienza progressiva, mediante la fede, della nostra trasfigurazione nell’immagine del Signore risorto, della nostra “appartenenza” a Lui (cf Gv 10,11-15), della “vita divina” che è in noi. Tale esperienza raggiungerà il suo culmine quando anche il nostro corpo mortale sarà trasfigurato dallo Spirito e reso simile al corpo glorioso del Signore (cf Fil 3,20-21). Vivere nello Spirito è quindi sinonimo di un itinerario pasquale di risurrezione in risurrezione. Itinerario nel quale la luce della rivelazione e l’esperienza della vita di Dio anticipano già sulla terra il “riposo” del Regno.
Sorelle Clarisse
Monastero S. Micheletto