Le letture di questa domenica ci presentano due racconti di missione: la prima lettura quella del profeta Amos inviato dal Signore al Regno di Israele e la seconda la missione dei Dodici.
Ciò che in questi due racconti di missione risalta è che il profeta Amos e i discepoli sono scelti da Dio per una missione particolare: annunciare il Regno di Dio. Il loro annuncio però può anche non essere accolto. Infatti Amos viene invitato ad andarsene: “Vattene, vattene veggente, ritirati nella terra di Giuda là potrai profetizzare” come a dire: qui no, non ti vogliamo. Lo stesso trattamento può accadere ai discepoli, se invece dell’accoglienza e dell’ospitalità trovano il rifiuto essi devono compiere un gesto significativo che manifesti pubblicamente l’impossibilità a stabilire qualsiasi comunione con i destinatari ai quali erano stati mandati. “Andatevene”- dice loro Gesù “e scuotete la polvere sotto i vostri piedi”. Secondo il costume giudaico tale gesto indica che quel luogo è paragonabile a un territorio pagano e impuro perché non ha voluto ascoltare ed accogliere la salvezza.
Alla non accoglienza il profeta Amos risponde che se lui è profeta è perché Dio lo ha scelto: “Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge” – il Signore chiama nella quotidianità – “ e mi disse: ‘Va’ profetizza al mio popolo Israele’”.
La stessa dinamica è avvenuta per i discepoli: al cap. 3 Marco ci dice: “chiamò a sé quelli che egli volle”, qui – e siamo al cap. 6 – “Gesù chiama a sé i dodici e prese a mandarli a due a due”. Gesù li manda a due a due perché si sostengano a vicenda, perché testimonino la comunione che annunciano e la Presenza del Signore tra loro. Nella mentalità veterotestamentaria i due testimoni hanno il ruolo di essere garanzia della verità. Nella mentalità neotestamentaria i due testimoni sono garanti di un messaggio di un Altro. Non si tratta, infatti, di un annuncio personale o individuale. E’ un messaggio di cui essi sono solo portatori. Inoltre Gesù ordina loro di non prender nulla per il viaggio, neppure le cose necessarie alla vita come il pane, nessuna sicurezza come il denaro. Gli inviati porteranno soltanto il bastone e i sandali. E’ la tenuta pasquale come si legge in Es 12,11: “[L’agnello] lo mangerete in fretta con i fianchi cinti, il bastone in mano e i sandali ai piedi: è la Pasqua del Signore!” Questa essenzialità è motivata dal fatto che chi annuncia il Vangelo è chiamato a vivere di fiducia in Colui che lo ha inviato. I discepoli non portano avanti un loro progetto, ma il progetto di Gesù, non rappresentano se stessi, ma un Altro. Questa essenzialità nasce dall’urgenza dell’annuncio e dalla necessità di non porre ostacoli. Il Vangelo di Marco permette agli apostoli di portare solo il bastone che aiuta a camminare e i sandali che evitano le conseguenze della durezza del suolo perché l’attrezzatura e le preoccupazioni ed essa relative non oscurino il messaggio. Ma cosa devono annunciare i discepoli? Essi dovranno soltanto dire alla gente di convertirsi, di ravvedersi, di cambiare mentalità. “Essi partiti proclamavano che la gente si convertisse”. Il salmo responsoriale ci presenta invece l’atteggiamento di coloro che ricevono l’annuncio: L’atteggiamento di fondo è l’ascolto – “Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore” – e il timore “La sua salvezza è vicina a chi lo teme”.
La seconda lettura ci presenta invece un inno di ringraziamento a Cristo. Il tema dell’inno si riassume in queste due domande: che cosa ha fatto il Padre e perché l’ha fatto? Fin dall’eternità il Padre ci ha benedetti, ci ha scelti, ci ha predestinati ad essere suo figli. Perché? “Secondo il disegno d’amore della sua volontà” cioè per salvarci dopo il peccato Egli ha inviato il Suo Figlio. E’ in Gesù che noi siamo figli, è in Gesù che noi riceviamo la redenzione e il perdono delle colpe. E’ in Lui che noi siamo stati fatti eredi, predestinati “a essere lode della sua gloria”. Chi ha ricevuto l’annuncio di Cristo non può continuare a vivere nell’indifferenza come se Dio non fosse presente nella propria vita perché Egli ci ha resi suoi figli e donandoci lo Spirito Santo ci ha donato la caparra della nostra eredità.
Sorelle Clarisse
Monastero S. Micheletto