La liturgia di questa Domenica ci pone dinanzi ad un aspetto importante e delicato della vita cristiana: la correzione fraterna che si fonda sulla legge della carità e del perdono.
Nella prima lettura il profeta Ezechiele viene chiamato dal Signore e inviato per guidare la casa di Israele nella via della vita: egli è posto come sentinella, come colui che monta di guardia in una postazione importante e ha il compito di vegliare e annunciare i pericoli, ciò che minaccia la sua salvezza al popolo. Ezechiele diviene strumento del Signore per ammonire e salvare Israele, non può e non deve, per timore o negligenza, omettere gli ammonimenti che gli vengono suggeriti e tacere sulla conseguenza che il peccato produce, in tal caso egli è responsabile della rovina del fratello: “della sua morte io domanderò conto a te”. Se, invece il profeta “avverte il malvagio della sua condotta”, se gli indica la via giusta per tornare al Signore ed egli non vorrà convertirsi, non è più responsabile della sua sorte perché la salvezza è affidata alla libertà e responsabilità dell’uomo. Colui che avrà condotto un peccatore sulla retta via avrà salvezza, perché ha compiuto un atto di carità verso il fratello e lo ha salvato da vita di peccato ammonendolo.
L’amore vicendevole di cui tratta la seconda lettura è la base per ogni correzione fraterna ed è la pienezza della Legge. L’apostolo Paolo ci esorta a non avere altro debito se non quello di un amore gratuito e appassionato per i fratelli: questa è la Legge nuova istituita da Cristo sulla croce, non più l’offerta di animali, tributi, ma il dono di sé stessi, l’amore gratuito. La nuova Legge dei cristiani è quella di amare con la stessa misura di Gesù, donare quello stesso amore che ci ha redenti per sempre. Non basta conoscere la legge per essere giusti, ma è necessario giorno dopo giorno “allenare” il cuore alla carità, modellare la propria vita su quella di Cristo.
Il Vangelo riprende questo tema ampliandolo e applicandolo alla comunità dei credenti. E’ un brano tratto dal così detto “discorso ecclesiale” del Vangelo di Matteo, nel quale Gesù da alcune istruzioni alla Chiesa. La carità è la norma di tutto, e in questo caso è vista sotto l’aspetto della correzione nei confronti di un fratello che commette una colpa, non per punirlo ma per riportarlo sulla via giusta.
L’obiettivo è quello di ricostruire con colui che ha sbagliato un’autentica relazione personale e fraterna: il primo passo è infatti, quello di una ammonizione personale “fra te e lui solo”. Questo significa cercare il fratello perdonarlo, parlargli in modo amichevole. Il secondo passo si attua se il primo fallisce ed è quello di tornare a parlargli con la presenza di due o tre testimoni per porlo di fronte alle proprie responsabilità. Il terzo è dovuto alla ostinazione del peccatore ed è comunque un gesto di carità: è l’ultima possibilità offerta al fratello indurito. Essa implica l’intervento dell’intera comunità che lo cerca e lo consiglia per il suo bene, si fa carico della sua vita e desidera la sua salvezza. Se da parte del fratello peccatore c’è il ripetuto rifiuto, la chiusura, da parte della comunità c’è la continua ricerca e il perdono: è lo stesso atteggiamento che il Signore ha con noi ogni volta che pecchiamo ci cerca, ci indica la via del bene, ci perdona aspettando la nostra conversione, tuttavia ci lascia liberi di tornare a Lui o meno. Infine la correzione fraterna pone le sue radici sulla preghiera: essa è la soluzione ultima nei confronti del fratello peccatore. La preghiera fondata su un rapporto personale con il Signore, ma anche di comunione tra fratelli riuniti nel suo nome per chiedere il bene: è un gesto di carità autentico nei confronti del fratello e di fiducia nel Signore.