La liturgia di oggi ci pone dinanzi due monti, due luoghi di incontro con Dio: quello del sacrificio, il Moria e quello della Trasfigurazione, il Tabor. E’ un itinerario dalla croce alla gloria che ci fa ripercorrere quanto ha vissuto Cristo consegnato per tutti noi, e camminare nella fede e nella conoscenza dell’amore gratuito del Signore.
La prima lettura ci mostra il culmine dell’esperienza di Abramo messo alla prova dal Signore, chiamato a fare un passo in più nella fede e nel suo rapporto di amore con il Signore.
“Prendi tuo figlio,… và …e offrilo in sacrificio”: Isacco è la promessa di Dio attesa per lunghi anni diventata realtà, è il figlio unigenito amato, ora il Signore chiede il suo sacrificio, con questa richiesta domanda tutto ciò che Abramo possiede di più prezioso, più della sua stessa vita. Ma di fronte a questa dura prova Abramo risponde mettendosi totalmente in gioco, senza fare domande egli parte verso il luogo indicato dal Signore. Questo atto di fiducia piena in Dio attira su si sé la benedizione per sé stesso e la sua discendenza per questo motivo viene definito nostro padre nella fede e indicato come modello di donazione e fiducia nel Signore.
La tradizione cristiana ha visto in Gesù la realizzazione perfetta del sacrificio di Isacco: è Lui il Figlio prediletto, l’amato donato per la nostra salvezza, in Lui abbiamo la giustificazione e il perdono dei nostri peccati, sta alla destra di Dio e intercede per noi.
Il Vangelo pone innanzitutto in evidenza l’iniziativa di Gesù che porta con sé Pietro, Giacomo e Giovanni conducendoli in disparte su un alto monte. Gesù invita i discepoli a partecipare ad un momento importante della sua vita e del suo rapporto con il Padre: sul monte, infatti fu trasfigurato davanti a loro: Dio trasfigura Gesù rivelandone la sua divinità.
Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime questo indica il carattere soprannaturale dell’evento: le vesti bianche sono, infatti segno dell’appartenenza alla realtà divina: “l’intima compenetrazione del suo essere con Dio diventa pura luce. Nel suo essere uno con il Padre Gesù stesso è luce da luce” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret p.357).
L’apparizione di Mosè ed Elia confermano la divinità del Cristo: Mosè ed Elia, infatti, rappresentano l’attesa messianica presente nella Torà e nei profeti.
Pietro, Giacomo e Giovanni contemplando la divinità del Signore vengono preparati ad affrontare lo scandalo della croce, anche se sul momento sembrano non comprendere quanto stanno vivendo: l’evangelista sottolinea l’atteggiamento di Pietro che non sapeva cosa dire e il loro spavento di fronte a tale visione. Dalla nube che li avvolge la voce del Padre rivela chi è Gesù e quale atteggiamento dobbiamo avere dinanzi a Lui: “Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo!”.
Dall’ascolto e dalla fiducia nella parola di Gesù dipende la nostra salvezza, Gesù stesso si pone in ascolto e obbedienza della parola del Padre, così noi vivendo nella fedeltà ai suoi insegnamenti possiamo entrare in un rapporto più profondo con il Signore.
Al termine della visione i tre discepoli vedono Gesù solo, con loro, il Maestro che già conoscevano non più nella gloria, ma nascosto nella quotidianità, vicino a loro per indicare la via della salvezza e di comunione con il Padre.
Sorelle Clarisse Monastero San Micheletto