La signoria di Dio sul creato e sulle forze della natura, la nostra risposta di fede e adesione a Lui sono i due temi che ricorrono nelle letture di questa Domenica.
Nella prima lettura è Dio stesso che parla rispondendo agli interrogativi e al dolore di Giobbe: il mare, simbolo nella Sacra Scrittura del male, del caos e delle forze oscure che si oppongono alla creazione e all’opera di salvezza, è placato: “ chiuso fra due porte.. .fin qui giungerai, non oltre…”, il suo “orgoglio” ha un limite, ciò che reca danno all’uomo e ostacola il disegno di Dio viene frenato dall’onnipotenza del Signore che dispone tutto a favore della sua creatura e che sa trarre il bene anche da situazioni difficili. Ritroviamo spesso questo tema nell’Antico Testamento a partire dal libro della Genesi e soprattutto nell’Esodo, quando Dio apre le acque del mar Rosso per far passare Israele oltre e metterlo in salvo dal faraone. Jhwh non fa passare il popolo da un’altra parte, né elimina il mare, ma in esso apre una strada, comanda alle acque, volge in bene, in salvezza per Israele quella che era una minaccia, una situazione di pericolo, dimostrando così il suo amore per esso. Nel parlare con Giobbe Dio rivela la sua potenza a partire dalla creazione e dal suo dominio su di essa, in questo modo conduce Giobbe da una fede per “sentito dire” ad una esperienza più profonda del Signore.
Alla lettura tratta dal libro di Giobbe si accosta la scena evangelica della tempesta sedata.
E’ questo uno dei miracoli narrati dall’evangelista Marco, che svelano alcuni lineamenti del volto di Cristo , la sua divinità: “chi è dunque costui che anche il vento e il mare gli obbediscono ?” , e che invitano alla fede: “ perché avete paura? non avete ancora fede?”
Gesù stesso invita i suoi discepoli sulla barca “passiamo all’altra riva”, ma ecco che allo scatenarsi della tempesta Egli dorme. “Maestro non ti importa che siamo perduti?” i discepoli impauriti e in preda all’angoscia scuotono Gesù: è un’invocazione disperata, un grido forte, lo stesso che abbiamo noi quando Dio sembra lontano dalle vicende del mondo, dai nostri affanni, dalle situazioni dolorose… eppure il Signore è lì, sulla barca dentro la tempesta, forse aspetta solo che ci rivolgiamo a Lui : “Maestro!”. Dio non ci lascia soli nel dolore, nella prova, Lui stesso vi è entrato dentro con la sua Passione per poi risorgere vittorioso sul male e sulla morte.
Gesù rimprovera i discepoli sulla barca , per la loro incredulità ancora, pur avendo visto molti miracoli e prodigi, pur avendo udito le sue parole di amore e speranza, non credono, non riescono a vedere la sua opera e la sua volontà di salvezza per ogni creatura; l’episodio della tempesta sedata diviene per essi un’occasione per incontrare il suo amore e riconoscere la sua potenza.
Nella seconda lettura, in collegamento con le altre due vi è l’antitesi fondamentale vita e morte, passato e futuro, peccato e salvezza: questo passaggio è possibile solo per mezzo dell’amore di Cristo cantato da San Paolo; amore che ci strappa dalla logica del nostro io e ci proietta in Dio: “quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro”.
Attraverso quest’amore cambia il nostro modo di accostarci al Signore non più “alla maniera umana” basandoci sulle nostre attese, ma secondo lo Spirito: diveniamo così, creature nuove trasformate da Cristo nella verità.
Sorelle Clarisse. Monastero San Micheletto