XIV Domenica T. O
La prima lettura ci presenta la vocazione di Ezechiele: “uno spirito entrò in me… e io ascoltai colui che mi parlava”. la vocazione non viene da noi, non siamo noi a scegliere, ma è una riposta a una chiamata: “Mi disse: figlio dell’uomo” ed è sempre associata a una missione particolare: “io ti mando… quelli a cui ti mando ”. E ciò che devi annunziare non proviene da te, non annunci te stesso o le tue idee, ma ciò che dice il Signore: “Dice il Signore Dio: sapranno che un profeta si trova in mezzo a loro” perché il profeta parla a nome di Dio.
Ma a chi viene inviato il profeta? A chi deve annunziare?
“Ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, a figli testardi e dal cuore indurito”. La vita e l’annuncio del profeta non sono facili perché l’uditorio a cui viene inviato non è incline verso la Parola di Dio e molto spesso l’annuncio non coincide con il successo, ma si scontra con la libertà di chi ascolta: “ascoltino o non ascoltino… sapranno che un profeta si trova in mezzo a loro”: anche se non ascoltano e non accolgono, tu, profeta, vai avanti per la tua strada perché il successo dell’annuncio non spetta a chi annuncia, ma a chi invia.
Questa lettura può essere considerata un’introduzione alla pericope evangelica dove ci viene presentato Gesù che nella sua patria (Nazareth) insegna nella sinagoga. Insegna di sabato come un rabbì. Non ci viene detto cosa Gesù insegna, ma viene posto l’accento sull’uditorio e sulla reazione che ha nei confronti di Gesù e del suo insegnamento.
E’ un uditorio che ascolta, ma ha delle reazioni opposte: prima si stupisce e poi si scandalizza: ascoltando rimanevano stupiti …. ed era per loro motivo di scandalo”.
Da dove nasce lo scandalo? Dalla non coerenza di vita. Infatti da una parte gli uditori riconoscono in Gesù un profeta: “da dove gli vengono queste cose? Che sapienza è questa? E i prodigi che compie?” ma nello stesso tempo riconoscono che questo Gesù che parla con sapienza e saggezza è uno che loro conoscono bene, è uno di loro: “non è costui il falegname, il figlio di Maria …”. E da questo contrasto nasce lo scandalo perché l’uditorio non sa riconoscere la presenza di Dio in Gesù e nel quotidiano. L’incredulità degli abitanti di Nazareth di cui Gesù si meraviglia non sta nel negare Dio, ma nell’incapacità di riconoscere nell’umiltà di Gesù il suo essere Dio. A questa incredulità Gesù risponde con un proverbio, non si lascia scoraggiare e continua la sua missione: percorreva i villaggi d’intorno insegnando.
Anche la seconda lettura ci parla di un inviato di Dio: l’apostolo Paolo al quale il Signore dice: “ti basta la mia grazia, la forza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza”. La debolezza dell’apostolo è data da questa spina nella carne di cui non si sa niente, se fosse una sofferenza spirituale o fisica, si sa solo il motivo per cui il Signore gliel’ha data: perché non monti in superbia”. A questa sofferenza Paolo si ribella e chiede al Signore che le venga tolta: “per tre volte pregai il Signore che l’allontanasse da me”. Il Signore sembra non esaudire la richiesta dell’apostolo, gli lascia questa spina perché sarà proprio questa sua debolezza che lo renderà forte, che lo forgerà “apostolo delle genti”. Da qui Paolo passa all’accettazione: “Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze perché dimori in me la potenza di Cristo” ed elenca alcune sue debolezze: gli oltraggi, difficoltà, persecuzioni, angosce. E conclude come il Signore gli ha detto dando veridicità alle sue parole: “infatti quando sono debole è allora che sono forte”.
Sorelle Clarisse
Monastero S. Micheletto