La liturgia di questa domenica ci fa ascoltare il forte attacco che Gesù rivolge contro le guide spirituali di Israele. Già la prima lettura, tratta dal libro del profeta Malachia, contesta senza mezzi termini la falsità che è entrata nella vita religiosa del popolo svuotando l’alleanza con il Signore; falsità che è entrata nella vita degli stessi sacerdoti rendendoli spregevoli agli occhi di Dio. Le parole del profeta sono autentici colpi di lancia. Disgustato da un culto smentito dalla vita, il profeta dà voce al rimprovero del Signore e dice: “…a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su di voi la maledizione…avete deviato dalla retta via e siete stati di inciampo a molti con il vostro insegnamento…perciò anche io vi ho reso spregevoli e abietti davanti a tutto il popolo, perché non avete seguito le mie vie…” (prima lettura). Dio è disgustato a motivo della falsità del cuore del suo popolo e dei suoi sacerdoti e vuole farci capire quanto sia ripugnante ai suoi occhi la falsità e l’ipocrisia. Lo stesso ammonimento lo troviamo nel Vangelo. Gesù ha davanti agli occhi lo spettacolo degli scribi e dei farisei: costoro erano esperti nelle Sacre Scritture e frequentatori assidui del tempio, ma il loro cuore era freddo, gelido, non trasformato dall’incontro con Dio: erano falsi.
Gesù li rimprovera severamente contestando la frattura tra la fede e la vita, accusandoli di ipocrisia. Rimprovera l’esibizione, l’uso della religione come se fosse un palcoscenico sul quale esibire la propria bravura: sono vanitosi, amano essere ammirati, ambiscono essere i primi nei posti dei banchetti o nelle sinagoghe, desiderano essere riveriti e amano essere chiamati maestri.
Gesù ci insegna che quanto più si è vuoti tanto più si ama emergere e che la sincerità e l’autenticità religiosa non è questione di titoli come “rabbì”, “padre” o “guide”. Di fronte a una religiosità vuota e caratterizzata dall’esteriorità Gesù contrappone il quadro di una comunità dove i membri si riconoscono fratelli e dove i responsabili hanno il privilegio di servire. Gesù propone una comunità dove la grandezza è proporzionata all’umiltà e determinata dai gesti di carità. E’ il capovolgimento evangelico con cui si chiude il brano di oggi: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato” (Mt 23, 11-12). Chi intende essere primo deve mettersi all’ultimo posto. Gesù, l’unico Maestro ha detto e ha fatto: si è messo all’ultimo posto. Nella lavanda dei piedi, nell’Ultima Cena -offrendo il suo Corpo come cibo e come bevanda il suo sangue- sulla croce, estremo esito del suo abbassamento di Figlio di Dio si è messo all’ultimo posto. Per Gesù la sua risurrezione è stata l’esaltazione della sua croce, il colmarsi di gloria dello svuotamento della crocifissione. Anche s. Paolo nella seconda lettura offre il suo esempio di come si serva una comunità di fratelli. Egli è stato amorevole verso i cristiani di Tessalonica, comportandosi con loro come una madre che ha cura dei propri figli ed è questo che costruisce una comunità permettendo di passare dalla centralità dell’io alla centralità di Dio. S. Paolo ringrazia Dio perché si rende conto che i cristiani di Tessalonica hanno accolto la parola di Dio non come parola di uomini, ma qual è veramente come parola di Dio dimostrando di aver capito davvero che l’unico Maestro è Cristo. E se la parola è al centro allora “opera in voi che credete” (1Ts 2, 13), fa emergere la carità e rende visibile Dio.
Sorelle Clarisse S. Micheletto
