Il Vangelo di questa seconda Domenica del Tempo ordinario ci presenta la testimonianza di Giovanni Battista su Gesù. Definendo Gesù “Agnello di Dio” Giovanni Battista evocava nella mente dei suoi ascoltatori due figure di agnello. L’uno l’agnello che nella notte dell’esodo, per ordine di Dio, fu immolato in Egitto e il cui sangue liberò il popolo dalla schiavitù e lo fece passare alla libertà della terra promessa. L’altra figura è l’agnello muto condotto all’uccisione di cui aveva parlato il profeta Isaia nel contesto della lettura di oggi che è un brano tratto dal secondo dei quattro carmi che parlano del servo di Jahvé che avrebbe salvato Israele e le genti.
Per dire “agnello” e “servo” l’aramaico, lingua usata da Giovanni Battista e da Gesù, usa la stessa parola “talya”. Allora, il Battista dicendo “Agnello di Dio” con un’unica espressione alludeva sia all’agnello pasquale, sia al servo messianico. Quando i circostanti udirono Giovanni Battista esclamare “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” compresero che finalmente era apparso nel mondo Colui che Dio aveva insegnato ad attendere come liberatore, il redentore di tutti gli uomini, Colui che sta davanti a Dio in rappresentanza di tutti e che paga per tutti. Cristo è dunque Colui che offre liberamente se stesso come ci indica il Salmo responsoriale “Sacrificio ed offerta non gradisci … Non hai chiesto sacrificio e vittima per la colpa” – tutte cose esteriori – “Allora ho detto ‘ecco io vengo per fare la tua volontà’ ” e che, come ci ricorda la prima lettura, riconduce a Dio tutti i suoi fratelli nella fede “ti renderò luce delle nazioni perché porti la salvezza sino alle estremità della terra”.
La Parola di Dio dunque, ci offre una sintesi della nostra fede in cui il passato conferma il futuro. Le promesse e le profezie antiche sono fedelmente realizzate e divengono garanzia per noi.
La testimonianza di Giovanni Battista su Gesù continua con il confronto tra il battesimo di acqua e il battesimo di Spirito. L’espressione “battezzare nello Spirito” definisce l’opera essenziale del Messia che già nei profeti dell’Antico Testamento appare orientata a rigenerare l’umanità mediante una grande ed universale effusione dello Spirito di Dio. Applicando ciò alla vita e al tempo della Chiesa, Gesù risuscitato non battezza in Spirito Santo unicamente nel Sacramento del battesimo, ma in modo diverso anche in altri momenti: nell’Eucaristia, nell’ascolto della Parola di Dio e in genere in tutti i mezzi di grazia.
La vita cristiana si contraddistingue, dunque, per essere una vita nello Spirito le cui caratteristiche sono la santità e la comunione come ci vengono presentati nella seconda lettura che è l’inizio della prima lettera inviata da Paolo alla Chiesa di Corinto. La vita cristiana prende origine da una chiamata di Dio Padre, si svolge sotto la sovranità di Cristo Signore – “Apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio” – ed è contraddistinta dalla santità, dono ed effetto dello Spirito di Cristo. All’inizio della Chiesa i cristiani venivano chiamati “santi” e questa santità si esplica all’interno di una comunità: “la Chiesa che è in Corinto e i cristiani che in ogni luogo invocano il nome del Signore Gesù Cristo”. E come Israele aveva ricevuto da Dio il privilegio di essere “il popolo santo”, così i cristiani “ricevendo il Battesimo entrano a far parte della santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito. Sarebbe, dunque un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: ‘Vuoi ricevere il battesimo?’ significa chiedergli: ‘Vuoi diventare santo?’. La santità non è una vita straordinaria, ma è “la misura alta” della vita cristiana ordinaria” così esortava il Santo Padre Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte al termine del grande Giubileo dell’Anno Duemila (cfr. NMI n° 31).
Sorelle Clarisse
Monastero San Micheletto
