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Commento alle letture della VII domenica del Tempo Ordinario

Pubblicato su 16 Febbraio 2017 di Sorelle Clarisse

Il Vangelo quest’oggi propone alla nostra riflessione il tema della giustizia e dell’amore. L’antica giustizia era rappresentata dalla celebre legge del taglione formulata sulla base di un passo del libro dell’Esodo che propone l’immagine dell’occhio per occhio, dente per dente. Il concetto e la prassi del taglione erano già nate nell’antichissima legge romana e nella legislazione dell’Antico Oriente ma la locuzione ‘legge del taglione’ è stata coniata in epoca posteriore sulla base del latino ius talionis,  pena consistente nell’infliggere al reo una lesione o ‘taglio’ uguale a quella da lui provocata ad altri. La norma era entrata anche nella legislazione biblica che talora la presenta in forma molto cruda. Questa norma è illuminata dalle parole di Gesù che proclama l’assoluta superiorità dell’amore rispetto alla pura e rigida giustizia vendicativa. Egli invita il discepolo a rispondere con un  atto di superiore generosità alla malvagità di chi l’ha offeso. Gesù inserisce un criterio nuovo e istituisce un atteggiamento di magnanimità che è insieme comprensione e compassione; che è amore che sa oltrepassare i rigidi confini del diritto personale e che, se si avverasse, arriverebbe a trasformare profondamente la convivenza. La legge evangelica crea questa disponibilità che è assai migliore di un passivo pacifismo. L’amore per quelli che ci amano è naturale: lo straordinario e il merito stanno nell’amare i nemici e i persecutori. “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” è rivolto a quei discepoli che subiscono la prova a motivo della fede, a coloro che in ogni tempo sono oppressi perché credenti. Pensiamo però anche a tutte le forme di inimicizia e di persecuzione nel quotidiano che richiedono l’amore e la preghiera come risposta. Gesù stesso definisce questo come straordinario. Già l’Antico Testamento, come ricorda la prima lettura, ordinava di non covare odio nel cuore contro il fratello; di non vendicarsi, di non serbare rancore, di voler bene al prossimo come a se stessi. Tuttavia Gesù apre un orizzonte ben più arduo, quello dei nemici e dei persecutori ai quali si risponde con l’amore che rappresenta e avvera la benevolenza del Padre: egli distribuisce i suoi doni -simboleggiati nel sole e nella pioggia- sia ai malvagi sia ai buoni; è generoso verso i giusti e verso gli ingiusti. Il voler bene è un valore a sé assoluto: non trova nell’altro la sua motivazione e neppure la sua misura; trova in Dio la sua ragione. Mostrarsi figli del padre significa imitarlo, ponendo l’amore al principio. In questa imitazione il nostro amore trova la sua verifica e la sua consistenza, fuori da ogni schema di natura ma dentro lo schema di Dio che impensatamente ha consegnato agli uomini il Figlio in sacrificio. E’ Gesù stesso che nel suo morire predica la carità che ama tutti senza distinzioni poiché è per tutti il suo Corpo e il suo Sangue, mentre in particolare per i crocifissori sarà la sua preghiera in croce.  Dio solo può suscitare in noi questo grado di amore. Davanti al mondo non può che sembrare insipiente la non opposizione al cattivo, l’altra guancia offerta, la consegna anche del mantello, l’accompagnamento  nel cammino, la concessione di un prestito…tutto appare come debolezza e senza senso. Senonchè  per tale via noi siamo stati redenti. Il Signore che muore mostra la gloria di Dio nel corpo crocifisso e vinto. Nell’orazione di questa liturgia domandiamo al Padre misericordioso il dono di essere “sempre attenti alla voce dello Spirito”, perché grazie a questa voce possiamo conoscere ciò che è conforme alla volontà di Dio e “attuarlo nelle parole e nelle opere”. Conforme alla volontà di Dio è la carità che Gesù ci sta insegnando e che solo per l’aiuto dello Spirito Santo possiamo tradurre in vita vissuta.

 

 

Sorelle Clarisse S. Micheletto

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